Spesso l’idea della “santità” passa dall’errata convinzione della perfezione, della mancanza di errore, di peccato. Una vita senza pensieri, facilitata dall’essere sequela di Cristo. Mai pensiero più ridicolo.
Nella nostra vita quotidiana non abbiamo più nessuna percezione della presenza di Dio. Si parla di “laicizzazione” del mondo non a caso. La realtà che ci viene offerta oggi nella Solennità di Tutti i Santi, parla un linguaggio diverso. La prima ragione per la quale una semplice persona si determina a seguire Cristo e ad imitarlo è l’amore che Lui ha provato per ogni creatura. L’amore porta a donare del tutto sé stessi, si intuisce che questo amore è un dono che saprà svuotarsi per dare, che non trattiene nulla per sé. Questo è il movimento che caratterizza l’amore. La seconda ragione è per comunicare questo amore. Per donarci il suo amore, il Figlio di Dio si traduce in umano, diventa come noi, perché altrimenti non potrebbe parlarci, non potremmo vederlo, non potrebbe diventare nostro pane. Insomma, rimarrebbe una incolmabile distanza. In Gesù Cristo che si incarna, allora, possiamo, con la fede, contemplare questo amore che, per donarsi a noi, non esita a svuotarsi e a farsi a nostra misura, adattandosi al nostro nulla, al nostro non essere Dio, perché noi riuscissimo a capirlo, a credere in lui. Insomma, a incontrarlo. Riguardo al significato biblico della kénosi è il non trattenere nulla per sé, accettando liberamente di annullare il proprio ego per riempire gli altri di dono, di compassione, di benevolenza. Non troviamo un solo momento, una sola parola, un solo gesto del Signore che dia l’impressione che Gesù trattenga qualcosa per sé, dica o faccia qualcosa a suo vantaggio.
Dà sempre l’impressione di uno che sta solo donando. In effetti, essendo l’amore in atto, Gesù non può comportarsi diversamente e come uomo diventa un modello perfetto. Tu non avrai mai il dono di me se io non decido di dare, ossia non accetto di svuotarmi. Questa è una regola a cui nessuno può fare eccezione; il dono non si finge, lo si fa nella misura in cui davvero abbiamo accettato questo gesto, che Gesù incarna alla perfezione. Cristo ha fatto così, il cristiano deve perciò fare così. Non si possono prendere distanze da Gesù. Abbiamo un grandissimo ostacolo, aggravato dal fatto che siamo peccatori: è il nostro ego fortissimo, la tendenza a farci centro negli altri, a sacrificare gli altri al nostro io, a interpretarci come assoluti, a impedire di avere gli stessi sentimenti di Gesù.
Così abbiamo rotta la relazione con Dio, non abbiamo più riconosciuto in lui l’Assoluto, e quello che noi desideravamo come la nostra più grande aspirazione è diventato in realtà il nostro carcere, la nostra fatica. Tutte le creature umane, senza neanche una sola eccezione, sono state create affinché, dopo una santa vita terrena, possano godere eternamente della contemplazione di Dio. Questo significa che essere salvati e essere santi e beati non è un’eccezione e neanche un privilegio riservato a pochi: i santi provengono da ogni popolo, da ogni parte del mondo e da ogni condizione di vita; lo ricorda anche San Paolo, quando scrive a Timoteo che Dio vuole che tutti siano salvati (cfr., 1Tm 2,4). In realtà, però, per ciascuno di noi il passaggio in questo mondo è segnato anche da tante altre chiamate personali e da molte altre scelte, sicuramente meno importanti ma che in realtà assorbono le nostre energie e molto del nostro tempo.
Chi sono allora “i santi”? La stessa parola “santo” vuole indicare una persona che si è impegnata seriamente per raggiungere la perfezione; indica una persona che è perfetta. La parola “santo” è la stessa che ripete senza fine l’immenso coro degli spiriti celesti, e gli stessi santi, che sono eternamente al cospetto di Dio; ed è la stessa parola che anche noi ripetiamo per tre volte, come per dire ininterrottamente, nella santa messa e che ripeteremo per tutta l’eternità. Quindi i santi sono coloro che, purificati e divenuti perfetti amando e soffrendo, hanno raggiunto la meta e ormai godono la visione di Dio. Però nessuno di loro è nato santo. La maggior parte degli abitanti della terra è incline ad agire bene. In ogni persona c’è un desiderio di bene che si desidera perseguire e che conduce alla verità e alla virtù. Gli onesti di cuore di tutto il mondo desiderano conoscere la via giusta. Essi l’hanno cercata e tuttora la cercano. Sulla terra ci sono state sempre persone che hanno cercato diligentemente, con tutto il cuore, di conoscere le vie del Signore. Celebrare quindi la solennità di Tutti i Santi ogni anno, richiama l’attenzione delle comunità cristiane a rivolgere l’attenzione al Cielo là dove uomini, donne, bambini, giovani di tutte le epoche sono avvolti dalla grazia e dalla bellezza dell’Onnipotente. Il mese di novembre si apre con una festa civile e religiosa le cui origini sono molto antiche. Infatti si ricollegano ad antichi riti legati alla tradizione celtica. I Celti erano soliti dividere l’anno in due periodi distinti. Il primo prendeva il nome di Beltane ed iniziava a maggio; in questa fase veniva celebrata la vita e la rinascita della natura. Il secondo periodo, invece, veniva festeggiato a metà ottobre e prendeva il nome di Samhain; in questa seconda metà dell’anno si celebrava la morte e il riposo della natura. In Italia la festa si ricollega anche ad alcune usanze della tradizione Romana.
Nello stesso periodo storico i Romani festeggiavano Pomona, una ricorrenza che salutava la fine del periodo agricolo e che coincideva con la festa celtica Samhain. Il significato della festa di Tutti i Santi è sicuramente ben diverso da quello pagano e agricolo riconosciuto dalle popolazioni celtiche e romane. La solennità del calendario liturgico romano (in latino: Sollemnitas Omnium Sanctorum) cadeva il 1º novembre ed era una festa di precetto che prevedeva anche una vigilia e un’ottava nel calendario anteriore alla riforma liturgica voluta dal concilio ecumenico Vaticano II. Tale festa potrebbe derivare dalla dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres, ovvero l’anniversario della trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata alla Vergine e a tutti i martiri, avvenuta il 13 maggio del 609 o 610 da parte di Papa Bonifacio IV, che diede così un significato religioso alla festa pagana. Messaggio conclusivo per riflettere insieme: La Chiesa ci invita a levare in alto lo sguardo fino a raggiungere il punto in cui si intravede la Gerusalemme celeste, dove “l’assemblea festosa dei nostri fratelli glorifica in eterno il Signore” (Prefazio della Solennità). La speranza è la parola d’ordine di questo giorno. La solennità di Tutti i Santi è la nostra festa: non perché siamo buoni, ma perché la santità di Dio ha toccato la nostra vita. I Santi non sono figure perfette, ma persone attraversate da Dio. La festa dei Santi è la festa del nostro destino, la festa della nostra chiamata. È una bella festa in cui celebriamo la fedeltà di Dio nei confronti degli uomini e quella degli uomini verso Dio; da questo felice connubio nasce e sgorga la santità. Festeggiare tutti i Santi significa guardare a coloro che già posseggono l’eredità della gloria dell’Eterno. I santi contemplano il volto di Dio e gioiscono appieno di questa visione.
Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa
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