Ha, da sempre, fatto riflettere o turbare, questo accostamento tra la Solennità di Tutti i Santi e Sante di Dio con la Commemorazione dei nostri fratelli e sorelle che ci hanno lasciati e verso i quali oggi, 2 novembre, si rivolge loro un pensiero sentito, commosso e grato. Qual è il significato? Che cosa ci aiuta a comprendere? Vediamolo insieme.

Gli eventi che accompagnano la vita di fede, spesso sono solo semplici indicazioni, che però contengono in sé, un significato profondo, autentico anche se difficile da accettare. La Commemorazione dei Defunti è la ricorrenza in cui la memoria si riempie di sentimenti di affetto, di nostalgia e di speranza, che non si stanca di ricordarci che la vita ha un inizio e una fine e che non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo. Il pensiero corre veloce a tutte quelle persone che abbiamo amato e che ci hanno lasciato; ogni anno arriva il momento della commemorazione dei nostri cari defunti. La morte è uno staccarci dai legami e sentimenti terreni per andare verso un“oltre” sconosciuto che ci attende, dove la vita non ci è tolta ma trasformata (cfr. Prefazio dei Defunti I). La morte ci fa paura ed allora è molto facile cedere alla tentazione di ignorarla, come se questo bastasse a tenerla lontana.

Il teologo francese Blaise Pascal ha ben espresso questo bisogno di fuggire affermando che “gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici” (Cfr.,Pensieri, Edizione Brunschvig, n.168). La morte porta con sé il dolore del distacco, il timore dell’ignoto, ma è anche colei che compie il mistero pasquale di Gesù che muore e risorge, e noi con Lui. Il 2 novembre fa sì che mentre preghiamo per i nostri cari, siamo invitati a riflettere anche su noi stessi, sul nostro cammino, a capire che la morte ci fa dei doni speciali: l’incontro con il Cristo e una vita in cui non si muore più. Il cristiano prega per i morti perché crede nell’esistenza di un’altra vita; crede che chi muore vive in Dio per sempre e prega perché questo incontro si avveri nella pienezza della gioia. Sant’Agostino ci esorta alla preghiera di suffragio: “una lacrima per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo”. La preghiera per i defunti fa bene anche a noi; ci spinge a cercare il vero bene, quello che “né tarli né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano” (Cfr., Mt 6,20). La preghiera deve, però, diventare vita attraverso la carità, la condivisione, l’accoglienza e tutte quelle opere di bene che diventano suffragio; altrimenti è solo un insieme di parole vuote e senza effetto. Dobbiamo imparare a pregare con la consapevolezza che la volontà del Padre è che nessuno vada perduto e che Gesù “lo risusciti nell’ultimo giorno” (Cfr., Gv 6,40).

Il 2 novembre è un giorno triste, ma anche no. È la Commemorazione di Tutti i Defunti e la tradizione vuole che si visitino i cimiteri per pregare sulle tombe di parenti e conoscenti. Si accendono lumini, si portano fiori. Spesso il tempo autunnale ci mette la sua parte, con l’umidità delle nebbie che infreddolisce e la luce del sole che cala presto a far notte. È dunque un giorno nel quale sembra che ogni cosa induca a pensare a cose tristi. Però non è soltanto così: il ricordo delle persone morte serve anche a ripercorrere i momenti belli trascorsi con loro oppure, se non le abbiamo conosciute personalmente, ad ascoltare dai più anziani la loro storia. Per chi crede, poi, c’è la speranza di ritrovarsi un giorno. Per tutti comunque è come collegarsi a un filo invisibile e misterioso cominciato prima di noi e che ora tocca a noi reggere e continuare. I defunti hanno concluso la loro vita, è vero, ma sapevano che non tutto sarebbe finito lì. Per questo oggi non è solo una giornata triste. Viviamo in un tempo in cui la morte viene procurata con disinvoltura già nel grembo materno, per togliersi un “impiccio”, una “seccatura”. Nell’era degli abomini e del sovvertimento della legge naturale, dove viene calpestata la legge di Dio, ecco che il  occupa sempre più uno spazio rilevante e al posto della Commemorazione dei defunti della Tradizione Cristiana, si parla e si vive Halloween (in inglese arcaico All Hallows Day, moderno All Saints), una parola attestata per la prima volta nel XVI secolo, che rappresenta una variante scozzese del nome completo All-Hallows-Eve, cioè la notte prima di Ognissanti e che rimanda a tradizioni antiche della cultura celtica e anglosassone. Con la morte cessa il tempo del merito e del demerito e la possibilità della conversione.

Tutta l’eternità viene pertanto giocata sulle scelte dell’esistenza terrena. La dottrina dell’indulgenza è un aspetto della Fede, che si riferisce alla possibilità di cancellare, grazie alla mediazione della Chiesa, le conseguenze di un peccato compiuto da un peccatore che abbia confessato con pentimento sincero il suo errore e sia stato perdonato tramite la confessione. Per indulgenza s’intende, quindi, la remissione parziale o totale delle pene maturate con i peccati già perdonati da Dio con il sacramento della penitenza. Spiega nel Trattato del Purgatorio Santa Caterina da Genova (1447-1510): “Non credo esista felicità paragonabile a quella di un’anima del Purgatorio, tranne quella dei Santi del Paradiso. E ogni giorno questa gioia aumenta per influsso di Dio nelle anime e tende ad aumentare, perché ogni giorno consuma ciò che impedisce tale influsso. La ruggine del peccato è l’impedimento; il fuoco consuma la ruggine e così l’anima si apre sempre di più all’influsso di Dio”.

Le lacrime per chi rimane si tramutano in speranza e Sant’Agostino (354-430) le asciuga facendosi portavoce delle persone che, temporaneamente, ci hanno lasciato: “… Sono ormai assorbito dall’incanto di Dio, dalle sue espressioni di sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto! Mi è rimasto l’affetto per te, una tenerezza che non hai mai conosciuto! Ci siamo amati e conosciuti nel tempo: ma tutto era allora così fugace e limitato! Tu pensami così; nelle tue battaglie pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte…”. La morte è un passaggio, una Pasqua, un esodo da questo mondo al Padre: per i credenti essa non è più enigma ma mistero perché inscritta una volta per tutte nella morte di Gesù, il Figlio di Dio che ha saputo fare di essa in modo autentico e totale un atto di offerta al Padre. Il cristiano, che per vocazione con-muore con Cristo (Cfr. Rm 6,8) ed è con Cristo con-sepolto nella sua morte, proprio quando muore porta a pienezza la sua obbedienza di creatura e in Cristo è trasfigurato, risuscitato dalle energie di vita eterna dello Spirito Santo. Ecco che il senso della memoria odierna indica come, ogni ombra, si disvela nella misura in cui ci esponiamo alla luce salvifica del Signore, ci affidiamo a lui e il nostro cuore riceve nuova luce che lo plasma, lo ammorbidisce e ci rende ancora di più capaci di vivere la vita in quella prospettiva che solo il Signore, datore di vita, ci può dare.

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa

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