Nel Cenacolo, in quella Cena, l’ultima sera, si consuma un grande evento/mistero: tante emozioni, dalla paura al terrore, dalla solitudine al tradimento, dalla sensazione di timore di aver perso l’amore del Padre, alla consapevolezza che Tutto è dato anche se può apparire sia stato preso con forza. Il Corpo sarà donato come atto “supremo di amore”.
Oggi si apre davanti ai nostri occhi l’ennesima possibilità di “meditare” su quanto è accaduto al Buon Gesù, buono poiché incarna la figura del Mite Agnello, dell’Uomo Dio che va con fermezza di spirito incontro alla Sua Ultima missione terrena. Nel Cenacolo quella sera e tutti i momenti vissuti, rappresentano quello che per la liturgia del cristianesimo è denominata l’inizio del “Triduo Sacro”, ovvero quei tre giorni che dovranno rappresentare la vera urgenza dell’Amore espresso così come era previsto per la salvezza dell’umanità. Ma se ci mettiamo un solo istante, tralasciando l’esegesi o la teologia somma che ha dato ragioni sul significato più spirituale ai fatti di Gerusalemme, e cerchiamo di offrire una riflessione, meditazione umana, di quanto è capitato al Messia, al Maestro, al Salvatore, possiamo solo stare in silenzio!!! Le scene sono tante, le emozioni si fanno forza tra loro nei cuori a cercare quali, tra i tanti, possa essere l’elemento più doloroso e quello più vicino al cuore di Dio, in quella notte, in quei giorni. Il Giovedì Santo è definito proprio Ultima Cena che Gesù fa con coloro che ha scelto a sequela (non dimentichiamo che per la Chiesa è anche la Giornata dedicata al Sacerdozio).
Il Suo cuore sa…il Suo Spirito geme interiormente, è sempre Dio a camminare sulla via del dolore, un Uomo ma Dio. Lui sa che le creature sono fragili, Lui sa che il passo cede davanti al pericolo, alla seduzione del potere, al fascino indiscutibile della vanità. Sa che l’essere umano può tradire, abbandonare, lasciare propositi e mete stabilite, pur di salvare sé stessi. Lui sa, Lui è consapevole ma geme. Il tradimento e il senso dell’abbandono nell’ora della prova da parte di coloro che ha amato, credo sia una delle pagine più profonde di tutta la storia biblica neo testamentaria, che da sola, basterebbe per capire ed accogliere il mistero della Grazia che contiene. Ma si sa, l’uomo, l’essere umano, è di dura cervice, non comprende o se lo fa, finge di non capirlo, per accomodare le azioni, il pensiero, le gesta e giustificare mancanze, soprusi, abusi, dolori inferti come colpi mortali nei cuori dei fragili. Questa Cena Ultima deve essere stata più dolorosa del destino che lo attenderà da lì a poco: sapere che accanto a te qualcuno che hai amato e ami ti tradisce, è spada rovente, è delusione somma, è tristezza senza consolazione. Il cieco Giuda Iscariota vede in Lui un possibile eroe che dovrebbe ostacolare il potere, ma Gesù non ha questo tra le priorità, quanto piuttosto lasciar fluire gratuitamente, la qualità e l’intensità dell’Amore provato. Nella stessa Cena, Pietro sosterrà con ardore “non ti abbandonerò mai, non ti tradirò mai” e da lì a poche ore, con grande stupore per se stesso davanti alla risposta di Gesù “prima che il gallo canti mi avrai già rinnegato tre volte”, piange lacrime amare, scoprendosi anche lui traditore alla stessa stregua dell’Iscariota che “con un bacio Giuda tu tradisci il Figlio dell’Uomo”. Ecco due scene che già basterebbero quale sintesi dell’umanità in delirio dinnanzi a una scelta di fermezza della propria fede o alla manifestazione di fedeltà a quanto già ricevuto.
Nella stessa Cena, si consuma anche quel sentimento che molti chiamano “empatia”, provare a sentire in profondità il sentire dell’altro, accogliere emozioni, timori, sensazioni di sofferenza che l’altro vive. La terza scena è l’Orto degli Ulivi, dopo la Cena, dopo i tradimenti, dopo la certezza di dover restare soli, ancora una nuova sensazione dolorosa: l’abbandono dell’Amore più grande per Gesù, il Buon Gesù, quello del Padre Suo. I suoi non sono in grado di “restare svegli neanche una sola ora con lui” ma si addormentano tutti! Giuda è andato in mano a Satana e lo vende per 30 denari, Pietro da lì a poco lo rinnegherà, Gesù sente che si avvicina la sua ora, in un dopo Cena che ha dell’assurdo. La solitudine, il senso di smarrimento, l’abbandono di tutti…resterà solo!!! Suderà sangue al sentore che la prova provata sarà la morte sulla Croce. Ma Gesù è Dio, quindi Tutto sia fatto secondo la Tua Volontà, non secondo la mia!!! Padre però se possibile, allontana da me questo Calice…dirà. Quante volte si pronuncia nella vita la stessa frase: Dio mio perché proprio ame? Dio Mio perché mi hai dato questa condanna, questa Croce da portare, è pesante, ingiusta. Dio perché non ascolti la mia preghiera, Dio, Dio, Dio e ancora invocazione a Dio, quando non sfiora l’imprecazione contro Dio!!!! Ed ecco il senso di questo “corpo spezzato”, che Lui offre, anche se la sensazione sarà che gli venga strappata. Il senso della “nuova ed eterna Alleanza” che le tenebre non soffocheranno, che Satana non riuscirà a strappargli dalle mani, ma questo spezzarsi sarà dover versare “fino all’ultima goccia di sangue” su quel Gòlgota di ieri e in quei Gòlgota di oggi, che nessuno sembra vedere, che nessuno sembra più ascoltare.
Questa è la visione della Cena, la Sua Ultima Cena in un mondo che ha visto il passaggio del Signore, ma non lo ha accolto. Dai giorni dell’Osanna si è arrivati alla condanna, al senso più terribile di solitudine che è possibile sperimentare: la solitudine del cuore. Ed allora mentre cerchiamo di fare nostre le sensazioni vagamente immaginabili, anche noi alcune volte come Pietro, o forse come Giuda, rinneghiamo e vendiamo il bene, rinneghiamo e stracciamo il valore del dono per pochi spiccioli, per poco posto a sedere nelle mense dei potenti. Valutiamo e ascoltiamo, giudichiamo e sentenziamo, rinneghiamo e condanniamo. Che sia questa Cena per noi possibilità di riscatto di quello che dona alla vita la forza di essere vissuta, con il solo aiuto della Grazia, altrimenti si corre il rischio di vivere solo per trenta denari, che danno la gioia del momento ma che non tolgono né la fame né la sete di quello che l’anima ha davvero bisogno.