Spiritualità, mistero, elementi costitutivi del cammino verso la santità. Il 1 novembre Solennità di Tutti i Santi e il 2 novembre Memoria dei nostri fratelli che vivono la pace eterna, sono le date che invitano i fedeli del mondo ad elevare lo sguardo sul cammino di perfezione e su quello che attende ogni anima al termine della vita terrena.
Delle due date che celebriamo all’inizio del mese di novembre, ovvero la Solennità di Tutti i Santi così come la Liturgia del ricordo dei fratelli defunti che ci precedono nella patria celeste, sono una forte spinta ad elevare i nostri occhi su quelle realtà che esistono nel già ma non ancora pienamente vissute. Celebrare la solennità di Tutti i Santi ogni anno richiama l’attenzione delle comunità cristiane a rivolgere l’attenzione al Cielo là dove uomini, donne, bambini, giovani di tutte le epoche sono avvolti dalla grazia e dalla bellezza dell’Onnipotente. In questi ultimi decenni sono stati proclamati tanti santi e beati: mai c’è stata nella chiesa una stagione così ricca di canonizzazioni, segno anche di un’estesa “cattolicità” raggiunta dalla testimonianza cristiana. Eppure molti, all’interno e attorno alla chiesa, hanno la sensazione di non conoscere dei santi “vicini”, di non riuscire a discernere “l’amico di Dio” questa la stupenda definizione patristica del santo, nella persona della porta accanto, nel cristiano quotidiano. Questo forse è dovuto anche al fatto che viviamo in una cultura in cui si privilegia l’apparire, un mondo in cui, come ha detto qualcuno, “anche la santità si misura in pollici”: molti allora cercano non il discepolo del Signore, ma l’ecclesiastico di successo, l’efficace trascinatore di folle, l’opinion leader capace di parole sociologiche, politiche, economiche, etiche, la star mediatica cui si chiede una parola a basso prezzo su qualsiasi evento, facendolo apparire il più eloquente a prescindere dalla consistenza della sua sequela del Signore. Ma è proprio in questa ambigua ricerca della santità attorno a noi che ci viene in aiuto la festa di tutti i santi, la celebrazione della comunione dei santi del cielo e della terra. Sì, al cuore dell’autunno, dopo tutte le mietiture, i raccolti e le vendemmie nelle nostre campagne, la chiesa ci chiede di contemplare la mietitura di tutti i sacrifici viventi offerti a Dio, la messe di tutte le vite ritornate al Signore, la raccolta presso Dio di tutti i frutti maturi suscitati dall’amore e dalla grazia del Signore in mezzo agli uomini.
La festa di tutti i santi è davvero un memoriale dell’autunno glorioso della chiesa, la festa contro la solitudine, contro ogni isolamento che affligge il cuore dell’uomo: se non ci fossero i santi, se non credessimo “alla comunione dei santi” che non certo a caso fa parte della nostra professione di fede saremmo chiusi in una solitudine disperata e disperante. In questo giorno dovremmo cantare: “Non siamo soli, siamo una comunione vivente!”; dovremmo rinnovare il canto pasquale perché, se a Pasqua contemplavamo il Cristo vivente per sempre alla destra del Padre, oggi, grazie alle energie della resurrezione, noi contempliamo quelli che sono con Cristo alla destra del Padre: i santi. A Pasqua cantiamo che la vite era vivente, risorta; oggi la chiesa ci invita a cantare che i tralci, mondati e potati dal Padre sulla vite che è Cristo, hanno dato il loro frutto, hanno prodotto una vendemmia abbondante e che questi grappoli, raccolti e spremuti insieme formano un unico vino, quello del Regno. il forte richiamo che risuona per noi oggi: riscoprire il santo accanto a noi, sentirci parte di un unico corpo. È questa consapevolezza che ha nutrito la fede e il cammino di santità di molti credenti, dai primi secoli ai nostri giorni: uomini e donne nascosti, capaci di vivere quotidianamente la lucida resistenza a sempre nuove idolatrie, nella paziente sottomissione alla volontà del Signore, nel sapiente amore per ogni essere umano, immagine del Dio invisibile.
Il santo allora diviene una presenza efficace per il cristiano e per la chiesa: “Noi non siamo soli, ma avvolti da una grande nuvola di testimoni” (Eb 12,1), con loro formiamo il corpo di Cristo, con loro siamo i figli di Dio, con loro saremo una cosa sola con il Figlio. In Cristo si stabilisce tra noi e i santi una tale intimità che supera quella esistente nei nostri rapporti, anche quelli più fraterni, qui sulla terra: essi pregano per noi, intercedono, ci sono vicini come amici che non vengono mai meno. E la loro vicinanza è davvero capace di meraviglie perché la loro volontà è ormai assimilata alla volontà di Dio manifestatasi in Cristo, unico loro e nostro Signore: non sono più loro a vivere, ma Cristo in loro, avendo raggiunto il compimento di ogni vocazione cristiana, l’assunzione del volere stesso di Cristo: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta, o Padre” (Lc 22,42). Sostenuti da quanti ci hanno preceduto in questo cammino, scopriremo anche i santi che ancora operano sulla terra perché il seme dei santi non è prossimo all’estinzione: caduto a terra si prepara ancora oggi a dare il suo frutto. “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). Della Solennità di Tutti i Santi si possono dire molte cose, cercare sfumature che arricchiscano la riflessione sul senso del cammino, sulla destinazione del percorso di chi si nutredi Cristo, della Sua Parola, del Suo esempio, del Suo Corpo e del Suo Sangue, ma non dobbiamo trascurare un piccolo, forse insignificante insegnamento che spinge a perseverare, ad accogliere contrarietà e ferite giuste e meno, che invita a stare sul percorso disegnato per ognuno quale via di perfezione somma. La “santità” non è gara a chi ha meno peccato, a chi si sente più perfetto, a chi guarda con autosufficienza sé stesso e si autoconsidera migliore o senza colpe, la santità è lo sguardo consapevole del proprio limite, della propria indegnità e incapacità a compiere il bene, anche se lo desidera.
È l’atteggiamento consapevole e grato di chi sa di avere bisogno, ogni giorno, di aiuto, di grazia e di misericordia e dura tutta la vita. Per lasciare un secondo la spiritualità dei santi, ci soffermiamo qualche istante sull’altra liturgia che è la Commemorazione dei Nostri Fratelli Defunti. Perché un giorno dedicato al ricordo di chi non vive più nutrendosi delle cose del mondo? Qual’è il suo significato primo? Il valore di una tradizione o un invito, come alcuni sostengono, a limitare l’agire terreno per timore? Non è certamente un caso che, dopo la solennità di Tutti i santi, la Chiesa ci proponga, il 2 novembre, la Commemorazione dei fedeli defunti: una preghiera universale perché i nostri cari, incorporati con il battesimo a Cristo, raggiungano la piena comunione con il Signore risorto. La Commemorazione tuttavia non attraversa in modo indolore la nostra vita; ci pone davanti al vuoto per l’assenza delle persone amate: i genitori, i coniugi, i figli, i fratelli, gli amici. La memoria dei nostri cari è velata dalle lacrime: il pianto fa parte della vita. Anche Gesù ha pianto di fronte alla tomba dell’amico Lazzaro: “Quando vide Marta piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e […] scoppiò in pianto” (Gv 11,33-35).
Scriveva dalla prigione Dietrich Bonhoeffer: “Non c’è nulla che possa sostituire l’assenza di una persona cara; non c’è alcun tentativo da fare, bisogna semplicemente tener duro e sopportare; ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché, finché il vuoto resta aperto, si rimane legati l’uno all’altro per suo mezzo. È falso dire che Dio riempie il vuoto; egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore”. E il dolore patito ci pone di fronte alla realtà della morte, di ogni morte, anche della nostra. La si vorrebbe allontanare, mentre invece si fa compagna di vita. Non siamo creati per la morte, anche se il morire come alcune volte si dice è l’unica certezza della vita. Eppure, dal nostro cuore sgorga prepotente il desiderio di permanenza, di felicità, di comunione, di amore, d’infinito. Siamo fatti per la vita e intimamente convinti che i valori della vita siano così forti da durare per sempre. Da ricordare sempre che l’ultima parola della vita, così come della nostra storia, non è dunque la morte, ma un’esistenza nuova, da risorti, nella comunione con il Signore Gesù.
Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa
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