Esiste una luce che non può essere posseduta, non può essere imitata, non può essere cercata, ma si farà trovare, si donerà a chi la cerca col cuore sincero. Come le tenebre della storia siano state squarciate da una nascita avvenuta in un piccolo borgo sconosciuto e senza rinomanza, ma che i profeti avevano intravisto ed atteso. La luce di Israele ha forato i secoli e continua nella sua fedeltà a proclamare la Torah, per i cristiani Gesù Cristo è la Torah incarnata, Luce da Luce.
La festa della “luce” nelle varie tradizioni e culture religiose, ha da sempre rappresentato un momento di rinascita e di risveglio dello spirito e ha portato il corpo a rinvigorire nel suo insieme. Il 2 febbraio è il giorno della candelora. La saggezza popolare ci ha tramandato molti detti e racconti su questa festa dalle origine antiche, celebrata in passato con fervore dalla gente contadina e oggi ricordata per essere la festa della benedizione delle candele, in ricordo della Presentazione di Gesù al Tempio. La candelora tuttavia è un momento di passaggio importante, dal significato profondo che ci accompagna alla scoperta del tempo, del ciclo delle stagioni, e della vita in senso generale. Molti sono i piccoli rituali che ancora oggi si compiono nelle case di tutta Europa: riti legati al tema della prima manifestazione della primavera che presto giungerà, portando con sé prosperità, salute e speranza. Nella tradizione cristiana, il 2 febbraio si celebra la presentazione di Gesù al Tempio da parte di Maria e Giuseppe.
Secondo la legge ebraica osservata dalla famiglia di Gesù, una donna doveva aspettare 40 giorni dal parto per ritrovare la sua purezza. Solamente dopo questo rito di purificazione si poteva accedere al Tempio, luogo dove fu presentato Gesù a Simeone il Vecchio, che pronunciò queste parole: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Luca 2, 29-32). Per queste ragioni, durante il giorno della candelora si celebra la benedizione delle candele, simbolo di Cristo, “luce per illuminare le genti” ma prima ancora la purificazione della Beata Vergine Maria.
Il tema della purificazione ricorre in virtù della valenza di transitorietà che riveste questo periodo dell’anno. In effetti, seppure l’inverno tocca alla sua fine e ne danno testimonianza i famosi giorni della Merla (29-30-31-gennaio) durante i quali l’inverno s’infervora, il passaggio dall’inverno alla primavera resta assai delicato ed incerto; secondo la saggezza popolare è proprio il tempo atmosferico di questi giorni che indicherà se l’inverno volgerà alla sua fine oppure se accompagnerà fino all’equinozio, per altri 40 giorni. Questa festa ci ricorda, anzitutto, le parole del Profeta Malachia: “Ecco, entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate, ecco viene”. Di fatto queste parole si avverano in questo momento: entra per la prima volta nel suo tempio Colui che è il suo Signore. Un bambino di poveri genitori, entra dunque inosservato e non atteso da nessuno. Nascosto nella carne umana, nato nella stalla nei pressi della città di Betlemme.
Sottomesso alla legge del riscatto, come la sua Genitrice a quella della purificazione. Il significato teologico e/o spirituale della Candelora è incentrato sul suo significato primo, ovvero “attesa” della Luce. Scriveva il Cardinal Martini: “La conoscenza di Dio è un cammino in cui l’uomo ascende verso la sua autenticità e ascendendo verso di essa riconosce la presenza di Dio”. Ed ancora: “Noi diventiamo veri ricercatori del Dio della vita cercando la Sua volontà, cercandola in questa Chiesa, in questo mondo, in questa società, in queste situazioni difficili, crescendo nel dialogo, nella pazienza, nella sopportazione, nell’ascolto”. Un’occasione formidabile, che si presenta instancabilmente ogni anno, che ci invita a ricordare che viviamo nell’attesa di un ritorno, quello del Signore. Spesso ce ne dimentichiamo e la nostra attenzione è presa da altre, insignificanti attese e ci distraiamo dalla potenza del gesto. Tutto, anche la liturgia, ci ripete: “Guarda che tu sei qui per questo: per attendere Lui”.
Diciamo di voler vivere lontano dagli affanni, ma se ci tolgono l’affanno, ci sentiamo persi. Il tempo senza qualcosa da portare a termine ci appare un tempo vuoto, dunque, inutile. Sei vincente se hai tutto subito: è la logica della nuova comunicazione, dei social, di chi plana sulla realtà e si è stancato di andare a fondo. Imparare l’attesa è salutare. Fa cambiare la metrica all’esistenza. Ci fa ascoltare tutta un’altra musica. Infine, ci fa diventare più belli perché quando ci disponiamo ad attendere qualcuno d’importante, scegliamo l’abito più elegante, ci pettiniamo, ci profumiamo, proprio come la sposa fa per il suo sposo. Cerchiamo di predisporre il nostro animo, il nostro spirito non solo profumando l’esterno ma cercando di creare nella grotta del cuore, così colma di sterpaglie e buio, il luogo della dimora ripulita per accogliere la regalità che si inchina verso l’umanità ferita, che non sa aspettare, non sa accogliere, non sa alcune volte domandare, ma che ha un disperato bisogno di ritrovare la luce che conduce alla salvezza. Che il Signore illumini il buio delle anime umane, le tenebre dell’esistenza. Perenne e immenso è lo sforzo dell’uomo per aprirsi la strada e arrivare alla luce, ci doni il Signore la luce della conoscenza e della carità vera.
Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa