Nel deserto del cuore: le riflessioni Maria Pia Cirolla in preparazione alla Pasqua
(La attirerò a me… Osea 2, 16)
Il brano del profeta Osea (2, 16 ss.) che prenderemo in esame ci darà la possibilità, a voi e anche a me, di fermarci un momento per cogliere qualche spunto di riflessione in preparazione della Pasqua. Questo è un tempo particolare nel quale parlare di “deserto” può assumere contorni davvero particolari, vista la situazione pandemica che il mondo sta attraversando così come pure la situazione dei vari deserti che silenziosamente vivono molte persone.
Il tratto di strada che desideriamo proporre con l’analisi di questo breve brano, ha un sapore particolare, vuole cioè riuscire a dire alcune cose: il primo aspetto è la comprensione della “parola” (dall’ebraico tradotta con davar) che diventa tradotta col sostantivo “midbar” “deserto” luogo cioè di privilegio che permette e consente l’ascolto della Parola.
Il primo aspetto preso in esame nel brano inizia con questa frase: la attirerò a me, atteggiamento tipico di colui o colei che fa sviare l’altro, l’altra, dal retto cammino. L’espressione assume connotazione di relazione nel momento in cui Dio vuole riconquistare seducendo il suo popolo, conducendolo nel deserto perché sperimenti la povertà proprio lì dove vi è assenza di voce, mancanza di distrazione e di tentazione, per giungere così al principale dialogo intimo con Lui, perché sia la sola voce di Dio a parlare al suo cuore proprio in quel preciso luogo dove si era instaurata l’Alleanza, per poter ripetere l’esperienza di questo “fidanzamento”, colmo di gioia esplosiva, piena di entusiasmo e di speranza dell’Esodo. Così la speranza che il popolo tornerà alla “terra promessa” attraverso la via della novità ovvero la “porta della Speranza” (v. 17).
In quel preciso giorno (a noi è dato scoprirlo non conoscerlo!), il popolo scoprirà e comprenderà quale sia la relazione autentica e viva da vivere con Dio nella propria storia, senza più idolatrìa ma solo una relazione che si basa su un sapore che fa sentire il gusto dell’eternità, un Padre Jahvè che non si propone come un Dio padrone e giudice severo, ma un Dio Sposo che desidera entrare in relazione con me! Questo, di conseguenza, porterà ad una nuova alleanza in cui ogni cosa presente e vivente nell’universo, vivrà come in una nuova alleanza universale che coinciderà con la vera pace che porta a tranquillità, ad armonia cosmica includendo in questo processo di pace cosmica, ogni creatura vivente, ivi presente.
Questo clima ispira una nuova relazione che si basa come una preghiera su due concetti che guidano la lettura e portano alla comprensione del testo. Il primo l’atteggiamento di Dio che vuole incontrare nonostante le infedeltà, il secondo la relazione rinnovata e che viene elevata a sposalizio tra Dio creatore e la sua creatura. In questo clima rinnovato dall’amore fedele di Dio, si può riuscire a comprendere il valore del secondo passaggio immagine su cui poniamo la nostra attenzione: il deserto come luogo privilegiato di dialogo, di incontro e di ascolto. Il deserto è un simbolo. Dicendo questo, non intendo dire che non esiste; sappiamo benissimo che esiste. E non intendo neanche negare che il popolo abbia vissuto nel deserto; intendo piuttosto dire che il racconto di tutti questi episodi ha un profondo valore simbolico già all’origine, non imposto in seguito dai lettori di altre culture. Fin dall’inizio questi testi erano simbolici. Prima di tutto il deserto è visto come il luogo dell’intimità e del dialogo. E’ tornato di uso abbastanza comune nel nostro linguaggio ecclesiale parlare di una giornata di deserto, dove deserto significa tranquillità, silenzio, calma, momento di riflessione.
Tema centrale quindi in questa riscoperta relazione con il Dio della novità, che si vuole rivelare e che desidera farsi conoscere e amare come Sposo, passa da un fulcro di relazione che è il “cuore” inteso come luogo dove intercorrono tutte le forme di elementi vitali psichici e fisici, dove ci si riscopre bisognosi di colmare quei vuoti emotivi e interiori che solo con la sola forza di questo cuore possono essere colmati.
(La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore…Osea 2,16)
Fiorisce tutto tranne me!!!
Ma sappiamo anche che nelle vite ordinarie questa idilliaca prospettiva di relazione cede il passo ad altre emozioni che invece gettano nello scoramento, nel senso di vuoto, di solitudine, di abbandono e che spingono addirittura, in certe situazioni della vita a rinnegare persino l’esistenza stessa di questo Padre, Sposo, Amico, Compagno di viaggio. Pertanto si è spinti non solo a guardare con indifferenza a questa speciale relazione, ma a non sentirne neanche il bisogno di lasciarlo affacciare nella propria vita, considerandolo così un inutile “voce che parla nel deserto della vita” spingendo a pronunciare parole come quelle dette “fiorisce tutto tranne me” in una relazione che si vede non produrre poi quel desiderato frutto che si aspettava.
Ma l’immagine simbolica del deserto ci invita anche ad una nuova prospettiva valida per la nostra riflessione e ci dice: il luogo privilegiato dove davvero posso ritrovare questo slancio e questa fertilità è proprio il deserto che diventa, trasformandosi nella sua natura, luogo di incontro dove posso ascoltare, sentire, udire quello che solitamente, circondato dal chiasso, mi viene impedito di sentire, capire o cogliere. Diventa quel posto dove sperimento un nuovo sentimento quello di sentirmi avvolto dalla “Provvidenza”, dalla “generosità” perché mi aiuta a rivedere, come in un filmato carico di ricordi del già vissuto, quella delicata mano di Dio che mi ha sorretto, sostenuto, accolto, abbracciato con tenerezza, già molte e molte altre volte. Chiamandomi per nome, ascoltando il mio grido, cogliendo quei moti dell’animo che ha paura, che ha dolore, che ha miseria di cui essere stanco, stanca, che sfianca il cuore, genera malessere interiore, sfocia nel dubbio, nella preoccupazione, nel timore del mio domani incerto. Ricordandosi, facendo memoria delle azioni concrete in cui Dio si è già speso per il suo popolo, ricordando le già conclamate dichiarazioni di amore manifestate in molti modi, ecco che il deserto diventa anche luogo pedagogico ed educativo.
Ovvero riesce a farmi capire che la strada che ho percorso ha già al suo interno momenti dove posso capire e gustare il ricordo di questa amorevole e protettiva azione, solo che il tempo, l’aridità, la sofferenza, o persino la morte di quanti magari ho amato, portano a cancellarne il ricordo e a negare irragionevolmente la attiva e amorosa azione di intervento salvifico in me. Qualche volta il deserto assume contorno di “peccato” come lo è stato per il popolo che nella dura via della solitudine, nel non sentire la Presenza di questo Sposo che accompagna e si prende cura di te, è andato alla ricerca di amori alternativi, costruendosi idoli, statue dorate che hanno mutato l’immagine e la naturalezza della relazione tra lo sposo e la sua sposa.
Poco male, direte voi, nulla di nuovo, accade nelle vite tante e tante volte. Ma qui la cosa assume contorni differenti, qui si trasforma in un dramma poiché lo Sposo in questo caso è Dio, il quale nonostante il tradimento, la scelta del vivere senza di Lui, dell’essere sostituito con altro dio, Lui rimane Dio fedele, che sommamente ama, spera, attende nel ritorno del suo popolo nella casa preparata dove regnerà per sempre la pace, la gioia e la felicità piena.
La nostra riflessione va verso la scena finale di questo racconto che desidera così aiutare lasciando un’immagine ultima in questo discorso del Profeta per capire il tesoro custodito in questa relazione che noi non sappiamo forse concretamente vivere e apprezzare. L’immagine con la quale desideriamo concludere si collega a quella che riteniamo possa essere la più importante che collega il cuore alla conoscenza. Per poter comprendere questo rapporto sponsale, devo prima di tutto conoscere e vivere su di me questa tenerezza di Padre, Sposo che si prende cura di me. Sentire è il verbo che segue quello dell’ascoltare. Se non ascolto non posso sentire, come in amore, se non sento vibrare il cuore dalle parole che mi vengono pronunciate e rivolte a me, non batte per l’amato il mio cuore.
Ecco che in questo senso anche il deserto assume tono e significato di unione sponsale, dove la solitudine, il dolore, la fatica, la prova, l’indifferenza, la superficialità, la cattiveria, l’idolatrìa, la negazione della Verità, conducano al non amore, alla non accoglienza, alla non accettazione, al rifiuto di un amore che salva, che ha cura, che ama!
Buona Pasqua nella Speranza che l’incontro possa rinnovare i cuori e spingerli ad amare e a sperare!