Domenica delle Palme, ecco davanti a noi i giorni della Settimana Santa. Il Vangelo narra del lungo viaggio che Gesù compie verso Gerusalemme: luogo della sua ultima Pasqua, quella di morte e risurrezione. Durante il viaggio, Gesù, in modo instancabile, incontra persone, chiama i Dodici, parla con tutti, insegna, ascolta, guarisce dal male, vive e rivela il valore della preghiera, svela il compito vero del Messia, fa conoscere e testimonia l’autentico e vero volto di Dio. La Solennità delle Palme apre lo scenario sull’Uomo Gesù, Figlio di Dio, Dio anche Lui, del Suo passaggio in questo mondo, della Sua Missione terrena per riacquistare l’umanità e ricondurla al Padre Suo. Nel calendario liturgico cattolico questa domenica è celebrata precedendo la festività della Domenica di Pasqua. Con essa ha inizio la Settimana Santa ma non termina la Quaresima. Ascoltando il racconto della Passione, possiamo rivedere in filigrana i nostri modi di stare nella vita e, confrontandoli con quelli di Gesù, possiamo capire meglio, agire diversamente, rinnovare la fede e la nostra intelligenza. Suggerisco e condivido solo qualche pensiero. A noi succede di iniziare a vivere le cose della vita, le scelte importanti con chiarezza di intenti, con un sincero sorriso nel volto, con buona volontà e forte entusiasmo; ma poi, molto spesso, ci dimentichiamo di aver cura di ravvivare il fuoco della motivazione e pian piano ci si ritrova ad accontentarsi di stare accanto al freddo fuoco della nostalgia, al pensiero di quel che è stato o nel rimpianto di quel che non abbiamo avuto il coraggio di essere. Gesù invece no.
Ecco una prima cosa da non perdere di vista: aver cura di tener vivo quello che si è iniziato, di portare a compimento ciò che si è scelto, che si è promesso e farlo soprattutto quando la strada si fa in salita, anche se l’unica cosa che riusciamo a vedere oltre la salita è fatica e oscurità. Non si tratta di forza di volontà o di orgogliosa disciplina, ma di imparare con l’esperienza che il senso dell’amare consiste nel non scappare. Di continuare anche quando ciò che sembrava essere buono e luminoso si fa ambiguo e oscuro, quando si ha l’impressione di essere rimasti soli a credere alla bontà delle scelte fatte, quando il frutto di quel che si è fatto non viene e tutto sembra essere andato sprecato. Quando viene l’ora della stanchezza interiore e della delusione, quando l’unica reazione a ciò che si prova sembra essere lo sconforto, la rinuncia e la chiusura in sé, Gesù vive e suggerisce un altro modo: “Quando venne l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio“.
È l’inizio del racconto dell’ultima cena. Gesù mostra che per continuare a tenere acceso il fuoco della motivazione, perché il risentimento o la delusione non siano le ultime parole della vita, perché si abbia forza di continuare a compiere il bene che si è scelto, bisogna scegliere di essere come chi dona e non come chi pretende, come chi è presenza viva e non come chi si siede nella passività. “Fate così anche voi in memoria di me”: questa la sua consegna. Il segno che rivela se le nostre vite e le nostre comunità sono animate dalla presenza di Gesù, sta nel vedere come si riescono a gestire le rigogliose volontà di dominio che esprimiamo nei pensieri, nelle parole e nei gesti. Come si reagisce davanti alle pretese di contare, di essere qualcuno, di essere efficaci, di lasciare il segno, di avere l’ultima parola? “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. (…) Io sto in mezzo a voi come colui che serve”. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. (Salmo 118:25-26). Poco tempo prima aveva pianto alla tomba di Lazzaro, soltanto per chiamarlo a uscire da lì poco dopo (Gv 11, 35-44). Ora le folle entusiaste che avevano saputo di questo grande miracolo (Gv 12,17-18) gli stavano facendo da scorta reale nella città di Davide, gridando le parole del Salmo 118, 25-26: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele!” (Gv 12, 13). Per tutti i Giudei queste parole erano un saluto messianico, ma Gesù rispose con un triste lamento.
La tristezza di Gesù non era priva di speranza !!! Riflettiamoci un momento: se oggi i nostri ulivi grondano lacrime per la pace che sembra non riesca a prendere il volo, come le avessero tagliate le ali, o perlomeno talmente infangate le ali da non riuscire queste a dispiegarsi in volo, dovremmo sentirci vicini a Gesù nel suo ingresso nella nostra civiltà, anche noi stendendo ai suoi piedi i nostri mantelli, perché siano l’ornamento della sua gloria: e intendo per mantelli tutto ciò siamo e abbiamo, perché Lui e solo Lui si senta il Signore da cui possiamo attendere gioia. E stringendo nelle mani l’ulivo nutrire la certezza degli umili, dei veri discepoli che, nonostante tutto, esultano di gioia perché, venendo Gesù, nella nostra storia entra la pace. Nessuno di noi si accodi ai farisei che non vorrebbero che Gesù entrasse nella nostra storia, perché questi non amano affatto che Altri, dal Cielo, traccino il cammino della storia dell’uomo: una via che, tracciata da Dio, ha tutta l’apparenza di un Arcobaleno che unisce cielo e terra. E dove arriva la palma che riceveremo oggi, facciamo in modo che arrivi Gesù: nelle nostre famiglie, nei nostri amici, con il coraggio di dirci: “La pace di Dio sia con te e con tutto il mondo“! E Gesù tornerà, anzi è già tra di noi da sempre, a indicare i passi della pace agli uomini che davvero con la buona volontà, seguendo la giustizia e il perdono, come suggerisce il S. Padre, sono le sentinelle della pace. “Nell’agonia dei nomi, amava dire Mons. Tonino Bello, sono irrimediabilmente logorati termini come progresso, ideali, destra, sinistra, civiltà, giustizia, libertà, solamente Shalom, che vuol dire pace, non ha mai cambiato significato. La pace non è ricavata dai nostri pozzi di petrolio, è un’acqua che scende dal cielo, e siamo noi che dobbiamo canalizzarla, perché giunga a ristorare la terra“. E di fronte alle nostre frustrazioni sempre Mons. Tonino Bello affermava: “Ho letto da qualche parte che gli uomini sono come angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati. A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche tu abbia un’ala soltanto, l’altra la tieni nascosta forse per farmi capire che anche tu non vuoi volare senza di me. Per questo mi hai dato la vita, perché io fossi tuo compagno di volo“.
Coraggio allora, riconosciamo d’essere peccatori e bisognosi dell’Amore che è Misericordia e non condanna !!!
Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa
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