“Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita; questo giorno beato racchiude in sé i secoli futuri; esso è uno e molteplice. Sia dunque anche quest’anno simile a te, e porti la pace fra il cielo e la terra”. Esprime così il desiderio del Natale del Signore Efrem il Siro, un poeta del IV secolo.  “Gesù posto nella mangiatoia è il cibo dei giumenti che siamo noi”, scrive invece il cantore del desiderio di Dio Sant’Agostino. Dal Mistero del Natale, appena trascorso alla “Custode” della nostra fede, Santa Maria Madre di Dio e di tutti i credenti.

Risuonano ancora nelle nostre menti, i Canti della Veglia della Notte del “grande Mistero”, quei canti che richiamano ogni fedele alla follia dell’Amore, follia che genera vita, che riscatta da schiavitù antiche: l’Incarnazione del Verbo di Dio. Partiamo dal gesto più grande manifestato all’umanità per cogliere il valore spirituale della festa che oggi, la chiesa universale, celebra. Per celebrare adeguatamente il Natale, dobbiamo rivivere ciò che è accaduto nella meravigliosa notte di Betlemme e rinnovare i sentimenti e gli atti che hanno composto quella sublime scena evangelica. Il Natale ci invita a riflettere sulla grazia dell’incontro con Cristo e a rinnovare la nostra fede. È un momento in cui siamo chiamati a portare speranza nel mondo, annunciando con parole e con testimonianza della nostra vita che Gesù, la nostra pace, è nato. Il Figlio eterno di Dio, Dio da Dio e luce da luce, è nato da donna, partecipa della nostra storia e della nostra condizione umana, affinché noi possiamo vivere, vivere da figli, essere figli amati, dallo stesso amore del Padre che da sempre ama il Figlio eterno. La storia è cambiata con la notte di Natale, le tenebre sono state vinte dalla luce della vita.

Da allora siamo davvero parte di Dio stesso, e Lui è parte di noi. Lui ha condiviso tutto della nostra condizione umana, l’ha presa tutta con sé, nella Passione, sulla Croce. Nella Risurrezione e nella vita per sempre. Anche nella durezza della vita, anche nella contraddizione dell’atrocità della guerra; anche nelle difficoltà di molti, nelle sofferenze causate dalla malattia; anche nelle situazioni in cui le relazioni non riescono a svilupparsi nel bene e nella fiducia; anche quando sembra difficile per molti, soprattutto giovani, trovare un senso reale all’esistenza: anche in tutto ciò il tempo è abitato da Dio, e la nostra storia è una storia feconda di eternità. In tutto ciò siamo amati, amati dall’amore onnipotente che è Dio. Così Papa Francesco si esprime: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità» (Spes non confundit, 1)”. Non c’è circostanza migliore per ravvivare la speranza che è in noi, se non iniziando dal celebrare il Natale del Signore Gesù, che ancora una volta accetta l’umiltà e la fragilità della nostra storia personale e “viene e supera tutte le distanze”, si fa vicino a noi, come le cose più semplici e quotidiane dell’esistenza. Infatti, Egli ha un altro nome, che è “Emmanuele” e significa “Dio con noi”, Dio vicino alla nostra vita, che vive in mezzo a noi; che si è incarnato e “svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo” (Fil 2,7), (cfr. Dilexit nos, 34).

Primo passo dinnanzi a questo “mistero” è lo stupore: di fronte al Dio che si fa Bambino, non possiamo che riconoscere l’incredibile prodigio con lo stupore dovuto, come fa quel pastore dei presepi che l’arte napoletana chiama “l’Incantato” o “il Meravigliato” con le braccia aperte e il viso estasiato, a esprimere meraviglia davanti al Bambino di Betlemme. Senza questo stupore non è possibile vivere pienamente il mistero del Natale. Dal Mistero celebrato, vissuto, passiamo a Colei che è Donna del Mistero, la maternità di Maria racchiude un grande dono di grazie. Theotókos (in greco Θεοτόκος, in latino Deipara o Dei genetrix), è un titolo della Beata Vergine Maria, attribuito alla Madonna il 22 giugno 431, durante il Concilio di Efeso, durante il quale, con grande gioia dei cristiani, la verità sulla divina maternità di Maria fu confermata solennemente come verità di fede della Chiesa.

Maria è la Madre di Dio (= Theotókos), poiché per opera dello Spirito Santo ha concepito nel suo grembo verginale e ha dato al mondo Gesù Cristo, il Figlio di Dio consostanziale al Padre. “Il Figlio di Dio, nascendo da Maria Vergine, si è fatto veramente uno di noi”, si è fatto uomo. Così dunque, mediante il mistero di Cristo, sull’orizzonte della fede della Chiesa risplende pienamente il mistero della sua Madre. A sua volta, il dogma della maternità divina di Maria fu per il Concilio Efesino ed è per la Chiesa come un suggello del dogma dell’incarnazione, nella quale il Verbo assume realmente nell’unità della sua persona la natura umana senza annullarla.” (Santo Padre Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Mater, n. 4, 25 marzo 1987). Il nome dato a Maria quale “Madre di Dio”, rappresenta e sottolinea la missione di Maria nella storia della salvezza: missione che sta alla base del culto e della devozione del popolo cristiano; Maria infatti non ha ricevuto il dono di Dio per sé sola, ma per portarlo nel mondo: “nella verginità feconda di Maria (tu, o Dio) hai donato agli uomini”. Maria è una creatura come tutti noi, ma in forza di questo singolare privilegio di essere la madre di Dio, svolge nel piano salvifico una funzione esemplare o rivelatrice: mostrare che l’amore e la vita divina realizzano al loro interno in forma eccellente anche la componente materna dell’amore, che la Scrittura ha cantato in tanti modi e che noi vogliamo rievocare nell’immagine tratta dal profeta Osea, con cui Dio solleva Israele alla sua guancia come fa appunto la madre con il suo figlio (cfr. Osea 11,5). La maternità divina di Maria perciò fa di lei per tutti noi un segno grande, attraverso cui cogliere la dolcezza e tenerezza della prossimità divina.

Tutte le feste della Madonna sono grandi, perché sono occasioni che la Chiesa ci offre per dimostrare coi fatti il nostro amore a Maria. Quale significato può avere parlare di Maria Madre di Dio? “Maria, madre di Dio” vuol dire che Gesù è veramente uomo perché nato da una donna e, nello stesso tempo, è veramente Dio, eterno Figlio generato dal Padre. Questa formula, così ardita e perfino rischiosa, che si poteva esporre a tante critiche e ambiguità, è stata difesa anche con l’esilio e la morte da tanti vescovi e fedeli cristiani. Il di Maria a Nazareth ci parla dell’obbedienza della fede a cui ciascuno di noi è chiamato per poter seguire Gesù nei passi della sua vita terrena, come faremo durante questo anno per vivere in sintonia con i Suoi divini insegnamenti? Se la Madonna è la Madre di Dio, va da sé che dobbiamo avere nei Suoi riguardi un amore tutto particolare, un affidamento tutto particolare, appunto perché è la Madre di Dio. Se Dio l’ha scelta come Madre, e Dio non può sbagliare, vuol dire che meglio della Vergine Maria non c’era e non c’è nessuno, Lei è davvero la Prediletta dal Signore. Possa la Sua Materna protezione custodire i passi di ogni credente in questo Nuovo Anno che comincia, perché sia diverso, perché sia pieno di umanità autentica, che non si fregi dei premi di generosità ma che sia capace di manifestazione vera della Carità che passa attraverso l’accoglienza del dolore per trasformarsi in grazia e benedizione.

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa

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