Un padre, uno sposo, un uomo forte, un modello per ogni vocazione
Nel cuore della Quaresima, il 19 di Marzo, una festa liturgica viene rivolta ad una delle figure più belle che possiamo avere la gioia di contemplare e meditare: mi riferisco al Mite, all’Umile San Giuseppe. Nel cammino silenzioso, in un tempo difficile, ricolmo di spunti per la riflessione sul senso della vita e sul vero valore dell’esistenza, come quello che stiamo attraversando, si affaccia questa figura, un Santo quasi sconosciuto alle cronache e dai molti, se non fosse legato al fatto che è Padre Putativo di Gesù, al suo essere presente in alcuni avvenimenti importanti della Famiglia di Nazareth, e al semplice essere considerato il Santo che protegge la figura dei papà, cui negli ultimi tempi, viene abbinata la festa di oggi. I Vangeli non ci riportano nessuna parola di Giuseppe di Nazaret: niente, non ha mai parlato. Ciò non significa che egli fosse taciturno, no, c’è un motivo più profondo. Con questo suo silenzio, Giuseppe conferma quello che scrive sant’Agostino: «Nella misura in cui cresce in noi la Parola – il Verbo fatto uomo – diminuiscono le parole». Nella misura che Gesù – la vita spirituale – cresce, le parole diminuiscono. Questo che possiamo definire il “pappagallismo”, parlare come pappagalli, continuamente, diminuisce un po’. Lo stesso Giovanni Battista, che è «la voce che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore”» (Mt 3,1), dice nei confronti del Verbo: «Egli deve crescere e io devo diminuire» (Gv 3,30). Questo vuol dire che Lui deve parlare e io stare zitto e Giuseppe con il suo silenzio ci invita a lasciare spazio alla presenza della Parola fatta carne, a Gesù. Il silenzio di Giuseppe non è mutismo; è un silenzio pieno di ascolto, un silenzio operoso, un silenzio che fa emergere la sua grande interiorità. «Una parola pronunciò il Padre, e fu suo Figlio – commenta San Giovanni della Croce, – ed essa parla sempre in eterno silenzio, e nel silenzio deve essere ascoltata dall’anima».
Gesù è cresciuto a questa “scuola”, nella casa di Nazareth, con l’esempio quotidiano di Maria e Giuseppe. E non meraviglia il fatto che Lui stesso cercherà spazi di silenzio nelle sue giornate (cfr Mt 14,23) e inviterà i suoi discepoli a fare tale esperienza per esempio: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» (Mc 6,31). Come sarebbe bello se ognuno di noi, sull’esempio di san Giuseppe, riuscisse a recuperare questa dimensione contemplativa della vita spalancata proprio dal silenzio. Ma tutti noi sappiamo per esperienza che non è facile: il silenzio un po’ ci spaventa, perché ci chiede di entrare dentro noi stessi e di incontrare la parte più vera di noi. E tanta gente ha paura del silenzio, deve parlare, parlare, parlare o ascoltare, radio, televisione … ma il silenzio non può accettarlo perché ha paura. Il filosofo Pascal osservava che «tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera». Di lui nella Scrittura poco si scrive; pochi gli episodi che lo mettono in evidenza: dalle Nozze con Maria, alla sua crisi nell’accettazione della maternità di Maria, al suo essere Custode della Famiglia che stava per nascere nel suo viaggio silenzioso e notturno verso Betlemme, al suo essere presente con Maria, Madre premurosa e attenta, nella ricerca del Figlio Gesù dopo tre giorni ritrovato nel Tempio, alla Fuga in Egitto appunto perché Erode aveva generato terrore con il decreto di sterminio dei primogeniti, al fatto che fosse un semplice artigiano e che, con molta probabilità, avesse insegnato al Piccolo Gesù l’arte e il mestiere dell’artigiano. Pochi momenti, poche parole pronunciate, poca scenografia, poco alzare la voce tra la folla, ma la Sua presenza è davvero una grande ricchezza per chi riesce a vedere ciò che reamente rappresenta. Nei Vangeli non ci sono le sue parole ma c’è il suo cuore che parla e che il Signore vede e sceglie. Dio “in San Giuseppe ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità”. Così non è disgiunto assimilare la figura del Mite san Giuseppe alla vita consacrata, perché vocazioni che si basano su questo esempio, si nutrono delle sue indicazioni, generano e rigenerano vita ogni giorno: “Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri; cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze. Di questo hanno bisogno il sacerdozio e la vita consacrata, oggi in modo particolare, in tempi segnati da fragilità e sofferenze, che hanno originato incertezze e paure circa il futuro e il senso stesso della vita. San Giuseppe ci viene incontro con la sua mitezza, da Santo della porta accanto; al contempo la sua forte testimonianza può orientarci nel cammino”. Per le sue doti di mitezza e di fortezza, san Giuseppe viene considerato anche Patrono della buona morte. Papa Pio IX ha dichiarato San Giuseppe “Patrono della Chiesa Cattolica”. Papa Pio XII lo ha presentato quale “Patrono dei lavoratori”. Il popolo di Dio ha sempre invocato lo Sposo di Maria anche come patrono della buona morte. Il catechismo ci ricorda che “la Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte (‘Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore’: antiche litanie dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi nell’ora della nostra morte (Ave Maria) e ad affidarci a San Giuseppe, patrono della buona morte”.
Nel linguaggio biblico è detto “giusto” chi ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe discende dalla casa di David, di lui sappiamo che era un artigiano che lavorava il legno. Non era affatto vecchio, come la tradizione agiografica e certa iconografia ce lo presentano, secondo il cliché del “buon vecchio Giuseppe” che prese in sposa la Vergine di Nazareth per fare da padre putativo al Figlio di Dio. Al contrario, egli era un uomo nel fiore degli anni, dal cuore generoso e ricco di fede, indubbiamente innamorato di Maria. Con lei si fidanzò secondo gli usi e i costumi del suo tempo. Il fidanzamento per gli ebrei equivaleva al matrimonio, durava un anno e non dava luogo a coabitazione né a vita coniugale tra i due; alla fine si teneva la festa durante la quale s’introduceva la fidanzata in casa del fidanzato ed iniziava così la vita coniugale. Se nel frattempo veniva concepito un figlio, lo sposo copriva del suo nome il neonato; se la sposa era ritenuta colpevole di infedeltà poteva essere denunciata al tribunale locale. La procedura da rispettare era a dir poco infamante: la morte all’adultera era comminata mediante la lapidazione. Ora appunto nel Vangelo di Matteo leggiamo che “Maria, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo, prima di essere venuti ad abitare insieme. Giuseppe, suo sposo, che era un uomo giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla in segreto” (Mt 18-19). Mentre era ancora incerto sul da farsi, ecco l’Angelo del Signore a rassicurarlo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Giuseppe può accettare o no il progetto di Dio. In ogni vocazione che si rispetti, al mistero della chiamata fa sempre da contrappunto l’esercizio della libertà, giacché il Signore non violenta mai l’intimità delle sue creature né mai interferisce sul loro libero arbitrio. Giuseppe allora può accettare o no. Per amore di Maria accetta, nelle Scritture leggiamo che “fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e prese sua moglie con sé” (Mt 1, 24). Egli ubbidì prontamente all’Angelo e in questo modo disse il suo sì all’opera della Redenzione. Perciò quando noi guardiamo al sì di Maria dobbiamo anche pensare al sì di Giuseppe al progetto di Dio. Forzando ogni prudenza terrena, e andando al di là delle convenzioni sociali e dei costumi del suo tempo, egli seppe far vincere l’amore, mostrandosi accogliente verso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Nella schiera dei suoi fedeli il primo in ordine di tempo oltre che di grandezza è lui: san Giuseppe è senz’ombra di dubbio il primo devoto di Maria. Una volta conosciuta la sua missione, si consacrò a lei con tutte le sue forze. La devozione a San Giuseppe ha avuto un posto importante nella pietà della Chiesa, e Santa Teresa d’Avila, (da me è molto amata!) ha contribuito in modo ammirevole a incrementarla, scrivendo pagine brillanti che hanno tratto via questo santo dall’anonimato, dandogli un ruolo di spicco nella religiosità popolare del suo tempo. Santa Teresa ha rappresentato senz’altro un punto molto alto in questa pietà dei semplici, e non si può comprendere la devozione teresiana a San Giuseppe senza comprendere la religiosità popolare, quell’espressione del popolo e della gente semplice portatori della rivelazione di Dio. Ricordiamo che il Signore si rivela ai miti e agli umili di cuore! L’esperienza personale è l’elemento caratteristico che Santa Teresa ci mostra quando parla di San Giuseppe. Teresa scrive partendo dalla propria vita e per quella dei suoi lettori. Ricorre spesso a ciò che ha visto e sentito nella sua esistenza come credente e nelle persone con cui si è relazionata. Santa Teresa d’Avila diceva: “Qualunque grazia si domanda a San Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada. Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso San Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore.
Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare…”. San Giuseppe è stato sposo, custode, discepolo, guida e sostegno: tutto di Maria. (…). Concludiamo la nostra riflessione sul Beato San Giuseppe con una delle più antiche preghiere note alla devozione popolare, per invocare la Sua benedizione, perché sia, ancora oggi, Custode della Famiglia che ha ereditato con Gesù. Possa essere per noi consolazione nell’ora della prova, rifugio nel momento del bisogno, della paura, del dolore, sia per noi guida che ci conduce sempre alla Terra dove scorrerà “latte e miele”.
A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, insieme con quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno, la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto soccorri ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amantissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo;
assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso possiamo virtuosamente vivere, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen!