Perché credere in Te, perché sperare in Te, perché Amare Te?
Sacro Cuore di Gesù, la scena del mondo conquistata da un Cuore
Con il culto al Sacro Cuore di Gesù, la Chiesa Cattolica intende onorare il Cuore di Gesù Cristo, uno degli organi simboleggianti la sua umanità, che per l’intima unione con la Divinità, ha diritto all’adorazione e l’amore del Salvatore per gli uomini, di cui è simbolo proprio il Suo Cuore. Già praticata nell’antichità cristiana e nel Medioevo, il culto si diffuse nel secolo XVII ad opera di S. Giovanni Eudes (1601-1680) e soprattutto di S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690). La festa del Sacro Cuore fu celebrata per la prima volta in Francia nel 1685. S. Margherita Maria Alacoque, suora francese, entrò il 20 giugno 1671 nel Convento delle Visitandine di Paray le Monial (Saone et Loire), visse con grande semplicità e misticismo la sua esperienza di religiosa e morì il 17 ottobre 1690 ad appena 43 anni. Già prima di entrare nel convento, era dotata di doni mistici che si accentuarono con la sua nuova condizione di religiosa; ebbe numerose manifestazioni mistiche, ma nel 1673 cominciarono le grandi visioni che resero famoso il suo nome; esse furono quattro rivelazioni principali, oltre numerose altre di minore importanza. Nel XVIII secolo. Nel 1765 la Sacra Congregazione dei Riti affermò essere il cuore di carne simbolo dell’amore; allora i giansenisti intesero ciò come un atto di idolatria, ritenendo essere possibile un culto solo al cuore non reale ma metaforico. Papa Pio VI (1775-1799) nella bolla “Auctorem fidei”, confermava l’espressione della Congregazione notando che si adora il cuore “inseparabilmente unito con la Persona del Verbo”. La devozione al Sacro Cuore trionfò nel XIX secolo e il convento di Paray-le-Monial divenne meta di continui pellegrinaggi; nel 1856 con Papa Pio IX la festa del Sacro Cuore divenne universale per tutta la Chiesa Cattolica. Sull’onda della devozione che ormai coinvolgeva tutto il mondo cattolico, sorsero dappertutto cappelle, oratori, chiese, basiliche e santuari dedicati al Sacro Cuore di Gesù; ricordiamo uno fra tutti il Santuario “Sacro Cuore” a Montmartre a Parigi, iniziato nel 1876 e terminato di costruire dopo 40 anni; tutte le categorie sociali e militari della Francia, contribuirono all’imponente spesa. Cosa evoca quindi l’immagine e la devozione al Sacro Cuore di Cristo? Una devozione ormai superata? Ma il “cuore” è il “luogo” degli affetti, dove siamo davvero noi stessi. Lì si radica il nostro stare al mondo. Dio stesso “ha un cuore”, nutre degli affetti. Sono quelli rivelati dal Figlio. Gesù di Nazareth ci parla del desiderio di Dio, della sua dedizione incondizionata alla vita di ogni uomo e di ogni donna. Come non essere attratti da questa sua passione? Il simbolo del Cuore di Gesù, prima di essere il tema di un approfondimento speculativo, è stato, sotto angolature diverse, oggetto di contemplazione, di adorazione, di celebrazione. Tra le espressioni che abitualmente vengono usate per indicare il riferimento spirituale al mistero del Cuore di Cristo, troviamo sia culto del Sacro Cuore che devozione al Sacro Cuore. La prima è privilegiata nei testi ufficiali e liturgici, la seconda, più comune, si riferisce in particolare a pratiche para liturgiche. Ad indicare poi il mistero del Costato trafitto, quale sorgente di vita spirituale, si può anche usare l’espressione spiritualità del Cuore di Cristo. Se, ovviamente, il contenuto al quale queste espressioni si riferiscono è il medesimo, vale la pena soffermarsi sulle differenti prospettive che si aprono a colui che intende considerare il problema nel suo svolgimento storico e dottrinale. É necessaria comunque una previa chiarificazione terminologica poiché generalmente, abbiamo da un lato un uso indiscriminato dei termini, specialmente culto e devozione, spesso impiegati come sinonimi; dall’altro un uso discriminante con cui ultimamente si preferisce spiritualità a devozione o culto, per il sapore un po’ pietistico che questi ultimi evocano. Il termine culto può slittare verso il significato di devozione allorché si intende il culto privato, comprendendo sotto tale denominazione la devozione privata, o meglio, le devozioni particolari ed i pii esercizi, quali originali espressioni di preghiera comunitaria ed individuale. «La teologia dell’oggetto e del senso della devozione al Sacro Cuore dovrebbe essere svolta sullo sfondo di una teologia del simbolo. Essa però non è ancora stata scritta, neppure con le presenti riflessioni. Queste avevano soltanto uno scopo (e forse ad onta di ogni imperfezione e brevità è loro riuscito di raggiungerlo), di dimostrare cioè che bisognerebbe e si potrebbe anche scrivere una teologia delle realtà simbolica cristiana perché la realtà in genere e soprattutto la realtà cristiana è essenzialmente ed originariamente una realtà della cui costituzione fa necessariamente parte il simbolo…» [108] . Con queste parole Karl Rahner conclude il saggio: Zur theologie des Symbols. Volendo offrire una riflessione conclusiva a questa devozione o culto del Sacro Cuore di Cristo, possiamo fermarci su alcune considerazioni molto semplici ma che definiamo importanti per entrare nella sua effettiva importanza spirituale. Il primo aspetto parte dal valore della fede; dove ci viene indicato che l’atto del credere a questo amore che riempie e dona valore alle azioni passa necessariamente, come tutti gli atti di fede, dalla “fiducia”. Io credo perché mi fido. Accogliendo per fiducia questo credere, mi apre al secondo passaggio che provoca, nutre, alimenta e mantiene sempre accesa la “speranza”. Chi crede, chi si fida, non teme e sa e vive con il cuore, la vita orientata a questa speranza rigeneratrice che sempre si rinnova. Terzo e conclusivo passaggio, che è poi la méta di ogni vita umana, è Amare. La fiducia, mi porta ad andare al di là del mio limite umano o ragionevolezza, che spinge e apre la porta alla Speranza certa, che poi nutre quel seme fragile, che è la capacità di essere e rimanere Amore. Facciamo nostre le parole di Papa Giovanni paolo II che così si esprime: “…è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia di un cuore umano: nel cuore del Figlio primogenito, perché possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall’eternità, predestinati a divenire figli di Dio e chiamati alla grazia, chiamati all’amore” (Cfr., GIOVANNI PAOLO II, Redemptor Hominis 9). Come ogni esperienza spirituale, anche, la devozione del Sacro Cuore utilizza un linguaggio eminentemente simbolico per esplicitare e comprendere il proprio oggetto. In questo sforzo di comprensione urge per la teologia, pur nel suo impegno sistematico di essere intellectus fidei, il compito di riscoprirsi essa stessa simbolica, cioè di recuperare quella mentalità simbolica che ha trovato espressioni particolarmente significative negli scritti patristici e della teologia monastica e non solo.
Gesù io Credo in Te, Gesù io spero in Te! Possano queste espressioni del sentire, accompagnare la nostra vita, donando la certezza di una speranza e di una gioia dell’amore che supera e allontana dal pericolo dell’indifferenza e del distacco da ciò che realmente dà valore e sapore alla nostra vita terrena.
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